Ponti


In questi giorni ho beccato diverse persone che riferiscano a vita come un fiume con cui si interagisce. Anche se un compagno di casa mi ha sottolineato l’importanza di rilassare e galleggiare nel fiume metaforico, c’è un detto attribuito ad Eraclito che mi tiene molto di più: “non potresti entrare due volte nello stesso fiume”

Ci sono quelli che insistono che dobbiamo sempre nuotare contro il corrente ed altri che cercano un’ancora a cui possono legarsi per stare fermi nel flusso. E ormai gli eventi dei rafting con i gommoni vanno alla moda. L’analogia della vita che assomiglia a un fiume viene utilizzata spesso perché è vera. Il tempo, la società e le nostre azioni ci portano in una direzione unica.

Dal mio punto da vista di straniero qui in italia, vedo che spesso i risultati dei lavori e le direzioni che le persone prendono e, soprattutto, le scelte degli studenti che ho conosciuto qui sono quasi predeterminati sulla base più che altro della loro situazione economica e i due millenni di palazzi, leggi e istituzioni che li circondano i quali danno definizione alle rive del fiume.

Nelle discussioni di questo dinamico in cui partecipavo non ho sentito argomenti su come una tecnologia cambia le rive che sono i limiti della nostra realtà sociale. Le solite lamentazioni riguardano come i social stanno rovinando i giovani.

Non contrasto quel punto perché è anche vero ma l’argomento è tanto più profondo. Per chi non lo sa c’è un intero campo di accademia che studia le interazioni di tecnologia e società con lo scopo di alzare la conoscenza degli effetti sociali che un decisione ingegneristica può avere.

Per esempio, l’altezza dei ponti può essere razzista.

Ogni italiano riconosce i danni se si trascura la manutenzione di un ponte come quello a Genova, ma non credo che tanti conoscano il caso dei parkway, cioè autostrade, costruiti nello stato di New York negli anni trenta. Il direttore principale, Robert Moses, era responsabile per la costruzione di una rete di autostrade per collegare la città con le comunità di Long Island e i suoi dintorni.

Il libro ”The Power Broker” e una mia professoressa entrambi descrivono che Moses ha scelto l’altezza dei sovrappassi per fermare il passaggio degli autobus della città che non avrebbero potuto portare più gli utilizzatori dei mezzi, che comparivano gli afro americani e italiani che odiava, agli spiagge facilmente raggiungibili della zona.

La realtà di oggi è che l’informatica non è esclusa da questo tipo di risultato. È possibile che certe attività sociali diventino impossibili o siano già impossibili per qualche scelta ingegneristica senza che il pubblico se ne accorga.

Per esempio la diffusione totale di dispositivi, che possono suonare qualsiasi canzone, esclude un chitarrista di medesimo livello da un lavoro suonando nei locali in una città come Milano. Costa troppo, gli serve spazio e ad un certa ora andrà via per stanchezza mentre la folla dovrebbe rimanere, perciò una intera classe di lavori sono spariti nell’arco di vent’anni.

Le conseguenze dell’utilizzo del sito Rousseau come una piattaforma insicura per svolgere voti online e la filtrazione dei discorsi di incitamento all’odio dai social entrambi mi sembrano due casi in cui maggiore trasparenza dagli attori principali va pretesa. Magari certi politici perderanno i loro seguaci con filtri efficaci ma temo che queste azioni faranno solo crescere i numeri dei complottisti che mantengono che i grandi poteri sono indietro di ogni causa che non ha una spiegazione semplice.

Siccome sono solo certo che nuove tecnologie continueranno portare più cambi sociali ad una velocità ancora più elevata che gli ultimi vent’anni, bisogna imparare a navigare bene nel torrente.